Testimonianza di Giuseppe Pelligra Maltese – Gennaio 1978
Una musica di foglie e di rami
vola nel tiepido meriggio
e i fiori sul mantello di verde
aprono i petali e ascoltano
Dire il nome di Rodolfo Cristina e richiamare quello di Carlo Carrà, è un fatto spontaneo.
Entrambi stanno nell’alveo del realismo mitico dove l’intuizione poetica scorre senza aggressione e inquetudine ma con chiarezza cristallina.
Siciliano l’uno e piemontese l’altro, sono accomunati dalla capacità di cogliere dalla realtà che li circonda le immagini come se nascessero da una spontanea fioritura disciplinata da riflessioni cartesiane.
I principi estetici ed etici, insopprimibili in una pittura che non vuole cogliere solamente gli aspetti esteriori delle cose, sono carichi di emozioni potenziate da sensibilità intuitive che fanno cogliere ad entrambi l’essenza dei temi trattati.
Rodolfo Cristina, allievo prediletto del Carrà, ne è l’ideale continuatore e, al pari del Maestro, nelle sue opere riesce a fare vivere la bucolica freschezza del contadino,la serena fatica del pescatore, il seno offerto con amore dalla madre al figlio, le quiete marine dal dorato contorno di sabbia, le povere bianche case ricche di luce tra gli arbusti, le sue nature morte, con immediato impulso creativo.
Una calma musicalità, piena di leggerezza pur nel tratto marcato,domina in ogni opera dell’artista siciliano costituendo sempre un fatto pittorico sia per il controllo del colore, sia per l’equilibrio delle composizioni, sia per la lirica aggettività che, seppure imbrigliata da un elastico impegno imitativo, eleva i valori pittorici della “ res extensa “ e li pone, con plastica coerenza, in una implacabilmente sociale, somma di diversi momenti meditativi e lirici.
L’arte severa, distesa, serena del Cristina, intessuta di colori pacificati da una classicità di soggetti, si placa negli spazi intimi delle case, nella luce delle ore quotidiane,nelle ombre gravi ma non cupe, nelle spiagge battute da un mare a gobbe, nelle barche tirate a secco che pensano all’uragano d’un triste inverno, nei profili scolpiti e grossi per le formali solidità che allargandone le superfici cromatiche ne riducano la dialettica analitica, cerebrale, metafisica, intellettuale.
Nella sua descrizione pittorica vi scopri la sofferta fatica dell’uomo cullata dall’acqua, dalla terra, dal vento in un ordine plastico spontaneo mai appesantito da licenziosità para miracolistiche.
L’arcano degli orizzonti si condensa in tiepidi colori ricchi di energia sprigionata ora dal paesaggio ora dalla vita umana, in una simbiosi cromatica maturata attraverso una intima sofferenza liricamente leopardiana; gli elementi compositivi nascono da una logica organicità anche quando trattano motivi di lame azzurre di mare sotto un cielo antico senza tempo.
Povere, piccole case di periferia, mute, amare e senza genti, parole di natura e canti di spuma, solitudine del lavoro e inquieto levitare di sofferenze sono la poetica paesana messagli certamente nel grembo dell’anima da incontri e visioni mediterranee.
Il Cristina, cosciente del proprio compito di artista, attua sempre il principio dell’arte come vita e comunica il messaggio delle cose attraverso la struttura delle loro forme. Osservando egli la realtà, nel suo mutevole esistenziale, la fa propria restituendola poi in armonico momento estetico palpitante di essenza vitale e di equilibrio ritmo formale.
Le sue figure vive pensano e si muovono e tremano nella carne un una pastosità di colori che,come scherzando, creano ora la luce ora le ombre. I contadini, i pescatori, i nudi femminili, i paesaggi, le marine sono espressioni di vita partorite da pennelli mai vaghi o negligenti ma sempre congiunti ai principi della natura.
Infatti la varietà infinita della natura gli consente forti contrasti al punto che ogni sua opera è ricca e nuova e vi puoi leggere uno scorcio di mondo una fisiologia, una storia, una psicologia.
L’accidentale, l’irregolare, le deformazioni concorrono alla nascita della linfa che penetra nella materia bruta e la fa viva con il calore del sole; freschezza e poesia diventano leggiadria grazie ad un’arte, piena di esperienze,mai inquieta,morbosa,cerebrale.
Le solitarie passeggiate ora lungo la battigia carezzata dalla musicale risacca ora per i sentieri sotto una pioggia di veline colorate, i fiori, quando la fatica del contadino diventa pane; il lento morire dei sonagli lungo la strada polverosa o il ciarlare dei giunchi con le canne alla foce di un fiume, consentono al Cristina una indagine pittorica da cui trae ispirazione creativa dal misurato tono bucolico dove il tempo è segnato dalla luce e le stagioni dai colori ora accesi ora tiepidi ora morti.
Egli ama gli spazi profondi e gioisce del vento che libero corre per i prati erbosi sino a sognare le sue nature morte non nell’angusto di povere case ma sulla nuda zolla o in riva al mare aperto sotto un cielo ora terso, ora ricco di nimbi e senza sole.
Egli ama la luce del caldo sole e l’aria pungente che si respira, i fiori e i cinquettii che si placano nel fondo dell’anima sua di poeta e di pittore
Giuseppe Pelligra Maltese
Gennaio 1978